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Di libertà creativa e politically correct

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Di libertà creativa e politically correct
Paul Cristina

Avvertimento preventivo: si astengano dalla lettura del rantolo che segue i moralisti intransigenti che levano gli scudi al minimo sentor di appropriazione, o presunta tale; i cani da guardia che in nome di una stolta idea di inclusività stanno imponendo parametri ridicoli che sono solo esercizi di censura; i paladini del politicamente corretto che si accontentano della forma e dimenticano che politica è invece la sostanza; i promotori di rivendicazioni pseudosociali che scambiano il populismo del “volemosebbene” furbetto per progresso inarrestabile.

A forza di piantare paletti e fustigare su quella gogna bulla e mediatica che è lo spazio angusto del web, laddove il dialogo non esiste e il diritto di replica arriva troppo tardi, quando ormai la reputazione è rovinata, non si riesce più a inventare, atterriti dall’idea di calpestare chissà quali terreni perigliosi. Sia detto una volta per tutte, con la sventatezza estrema del caso: l’atto creativo è anarchico, sconfinato, bulimico e scorretto; con pace dei censori, non può essere dettato dall’alto o a priori.

Viviamo tempi violentemente moralistici, che stanno distruggendo la libertà di espressione e invenzione nel nome di un’idea distorta alquanto di libertà d’espressione. I censori stanno cercando di trasformare la moda in qualcosa di terribilmente intelligente e dannatamente politico, negandone la natura frivola, sciocca e distratta. Sia chiaro: i valori socio-politici della moda sono profondi, ma stanno in superficie, sono estetici. Anzi, più la moda è superficiale, più scatena il progresso. Negarlo imponendo lezioni ex cathedra, forti di certezze anguste e adamantine, vuol dire distruggere le lande fertili del pensiero libero con la protervia dei filistei.

In un mondo globale, il riconoscimento di minoranze e diversità è inoppugnabile, ma la consapevolezza non può trasformarsi in imposizione. Un designer non può creare una collezione spuntando ogni casella per accontentare tutti. In questo modo non si accontenta nessuno. La moda è esclusiva per definizione: esclude la massa per soddisfare una élite – qualsiasi tipo di élite. Alcuni designer parlano di corpi non standard, altri di inclusività, altri di generi fluidi: è scelta, è del singolo e c’è spazio per tutti.

Quel che ci si aspetta dai creatori sono nuovi modi e nuovi significati: idee scomode, che al limite sconvolgano e oltraggino. Il politically correct, al contrario, è una trappola conformista apparecchiata in nome di un falso rispetto che è forse anche più divisivo e discriminatorio. Dopotutto, noi umani civilizzati siamo tutti appropriatori culturali di vario genere. L’appropriazione è ciò che ha sospinto l’umanità fino a ora – avanti o in basso secondo il punto di vista. Questo per dire che la vera forza della moda è una sventata leggerezza. Le sciocchezze sono ciò che la rendono culturalmente vincente, ma anche liberatoria, disinibente, energizzante. La torcia dell’illuminismo modaiolo passa dal sacrosanto diritto di essere cretini.

Vogue Italia, marzo 2019, n.823, pag.100

(English text)

On Creative Freedom and Political Correctness

Please be advised: the following rant is not addressed to the intransigent moralists who raise their shields at the slightest hint of appropriation, whether real or presumed; the guard dogs who, in the name of a foolish notion of inclusiveness, impose ridiculous parameters that are merely exercises in censorship; the advocates of political correctness who are content with form and forget that politics is instead substance; the promoters of pseudo-socially progressive claims who trade disingenuous feel-good populism for unstoppable progress.

By force of planting stakes and flogging on that mediatic pillory that is the narrow space of the web, where dialogue does not exist and the right of reply comes too late, when one’s reputation has been ruined, invention is no longer possible, terrified as one now is by the idea of trampling on who knows what perilous ground. Let it be said once and for all, with the extreme rashness of the case: the creative act is anarchic, boundless, bulimic and incorrect and, with apologies to the censors, it cannot be dictated from on high or a priori.

We live in violently moralistic times, destroying freedom of expression and invention in the name of a distorted idea of freedom of expression. Censors are trying to turn fashion into something terribly intelligent and necessarily political, denying its frivolous, silly and distracted nature. Let's be clear: the socio-political values of fashion are deep, but they are on the surface, they are aesthetic. Indeed, the more superficial fashion is, the more it triggers progress. To deny it by imposing ex cathedra lessons, choked with narrow certainties, is to destroy the fertile fields of free thought with Philistine arrogance.

In a global world, the recognition of minorities and diversity is indisputable, but awareness cannot be cultivated by force. A designer cannot create a collection by ticking every box to please everyone. In this way, no one is satisfied. Fashion is exclusive by definition: it excludes the mass to satisfy an elite - any kind of elite. Some designers talk about non-standard bodies, others about inclusiveness, others about gender fluidity: it's choice, it's individual and there's room for everyone.

What is expected of creators are new modes and new meanings, uncomfortable ideas which at the very least upset and outrage. Political correctness, on the contrary, is a conformist trap, set in the name of a false respect that is perhaps even more divisive and discriminatory. After all, civilized humans are all cultural appropriators to varying degree. Appropriation is what has driven humanity thus far - forward or downward, depending on one’s point of view. This is to say that the real strength of fashion is its frivolity. Silliness is what makes it culturally successful, but also liberating, disinhibiting, energizing. The torch of fashionable enlightenment is fueled by the sacrosanct right to be idiots.